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FRANCO RASMA
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Franco Rasma

Ho la sensazione di stare costruendo, giorno dopo giorno, una specie di labirinto. Il mio studio è un labirinto. E' una stanza ricoperta di tavolette, una cripta di ex-voto. Un percorso di sentieri che si biforcano e che si moltiplicano. I miei lavori nascono uno dall'altro. Come  tessere di un mosaico, elementi di una grammatica di un linguaggio privato e severo. Vorrei costruire una mia ortodossia, un sistema coerente di segni che bastano a se stessi. Una struttura che emerge da elementi ripetuti che convergono e si intrecciano. Amo il minimalismo, è da lì che sento di venire.
I miei quadri diventano sempre più piccoli. Ho quasi sempre fatto quadri piccoli. Mi è venuto naturale. Credo che abbia a che fare col pudore, con la difficoltà di esibire. E credo che le piccole dimensioni riescano a favorire la condizione psicologica di caduta, di concentrazione, di discesa interiore. Il piccolo rettangolo che ho di fronte, diventa l'esatto perimetro della mia follia controllata. Il massimo di eccitazione interna si sostiene con il minimo di dispersione fisica. Ho bisogno di semplicità. I miei materiali sono  tavolette di legno, carta, carbone, olio,  cera. E' come una pratica ascetica.  L'atemporalità è uno degli elementi che rende omogeneo ciò che faccio. Una specie di indeterminatezza storica, che finisce per dare al "qui e ora" un senso di incertezza e di sradicamento quali solo l'"altrove" possiede. Qualcosa di legato anche alla struggenza.  La mia è  l'ora del crepuscolo, del momento in cui il mondo trasale e attende immobile. L'istante della rivelazione, quella che i Sufi chiamano Zikhr, la rimembranza di Dio. Per questo la luce della mia pittura non è il luogo della ragione, quanto piuttosto quello della rivelazione, dell'apparizione. Convive intrecciata all'ombra che è l'universo del possibile, del profondo, delle infinite modalità dell'esistenza, della condizione aurorale e originaria.

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Franco Rasma

I have a feeling that day after day I am building a sort of labyrinth. My studio is a labyrinth. It is a room strewn with artist’s boards, a crypt lined with ex-votos. A journey along paths, which fork and multiply. My works come alive, one after the other. Like pieces in a mosaic, elements from the grammar of a private, rigorous language. I would like to construct my own orthodox form, a logical system of signs which take care of themselves. A structure emerging from repeated elements which converge and interlace. I love minimalism; I feel that is where I come from.
My paintings are becoming increasingly smaller. I have nearly always painted small pictures. It came naturally to me. I believe it has something to do with modesty, with my difficulty to exhibit. And I believe small dimensions are able to encourage the psychological condition of falling, of concentration, of inner descent. The small rectangle I have in front of me becomes the precise perimeter of my controlled madness. Maximum inner arousal supports itself with a minimal dispersion of physical energy. It’s all there: with one art I surround my work, and with one look I embrace it completely. I need simplicity. My materials are wooden boards, paper, charcoal, oil, wax. It resembles an ascetic practice…timelessness is one of the elements which make what I do consistent. A sort of historic indecision, of chronological unrecognisableness which ends up by giving to the “here and now” a sense of uncertainty and of uprooting such as only the “elsewhere” possesses. Something linked also to what is all-consuming. My favourite hour is dusk, the moment in which the world flinches and waits immobile. The moment of revelation, what the Sufis call Dhikr, the remembrance of God. Thus, the light in my painting is not a place of reason, but rather one of revelation, of apparition. It cohabits, would around the shadow which is the universe of what is possible, of what is profound, of the infinite ways of existence, of the auroral, primal condition.
Created by Marco Emilio Bertona. All rights reserved.
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